Il
mio sangue sta per essere sparso in
libagione ed è giunto il momento di
sciogliere le vele. Ho combattuto la
buona battaglia, ho terminato la corsa,
ho conservato la fede. Ora mi resta solo
la corona di giustizia che il Signore,
giusto giudice, mi consegnerà in quel
giorno; e non solo a me, ma anche a
tutti coloro che attendono con amore la
sua manifestazione.
Questo
è il testamento autobiografico che
l’apostolo Paolo aveva affidato al
discepolo Timoteo (II,4,6-8). Giovanni
Paolo II ha ascoltato durante la sua
vita tante volte queste parole e
idealmente potremmo immaginare che egli,
applicandole anche a se stesso, le abbia
volute lasciare a noi. Le quattro
immagini usate da san Paolo potrebbero,
infatti, essere anche l’ideale sintesi
dell’esistenza del Papa.
La sua è stata appunto una vita che non
ha temuto la lotta, che è stata
condotta come una corsa anche spaziale
attraverso un centinaio di viaggi, che
è stata tutta consumata come una
libagione sacrificale in cui il vino o
l’olio o l’acqua dal braciere
esalavano totalmente verso l’alto.
Alla fine era giunto il momento di «sciogliere
le vele». Il vocabolo greco usato
dall’Apostolo poteva rimandare sia
alla nave che dispiega le vele, dopo
aver sciolto gli ormeggi che la legano a
terra per inoltrarsi nel mare immenso,
oppure può evocare la partenza del
nomade che scioglie i teli tesi della
tenda e si mette in cammino verso una
nuova meta. Ma là in quel punto
d’approdo c’è una sorpresa gioiosa:
il Signore offre a chi l’ha amato e
seguito lungo la strada stretta ed erta
del Vangelo «la corona di giustizia»,
incorruttibile, come l’aveva già
definita san Paolo. E il Papa da
quell’orizzonte eterno e infinito
invita ancora una volta tutti noi a
seguirlo sulla via della croce e della
gloria.
Gianfranco
Ravasi
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